sabato 20 settembre 2014

COSE CHE UNO NON DICE.

Quando ero piccolo una volta avevo comprato un paio di sci bellissimi. Erano gli sci che sognavo, non avrei mai immaginato di averne un paio così belli, li avevo presi con mio papà durante una svendita.  Piacevano a lui ma c'era solo la misura più piccola - mio papà era grande e grosso - e così, li comprammo per me. Non dico comprai e nemmeno me li comprarono: li comprammo, insieme, io e mio papà. Erano un po' lunghi per me e poi eravamo già a metà stagione, quindi la decisione fu quella di tenere le aste per l'anno successivo, ci avremmo montato gli attacchi in autunno, nel frattempo io mi sarei alzato un po' di statura e avrei messo da parte qualche soldo durante l'estate per comprarli.

Quando tornammo a casa e poi il giorno successivo a scuola e quello successivo ancora morivo dalla voglia di raccontare a qualcuno del mio acquisto, dei miei sci nuovi, volevo dirlo ai miei amici o ai compagni di sci o di classe o a quelli del cortile, allora comprare gli sci era un avvenimento importante. Allora un paio di sci era qualcosa che ti avrebbe accompagnato per un pezzo di vita, non soltanto per una stagione, e poi uno di sci, allora, ne aveva un paio e basta e ci doveva fare di tutto, io ci dovevo fare di tutto. Pista, fuoripista, sci-alpinismo, magari anche fondo se capitava, poteva succedere anche di doverli prestare a un parente che andava a fare la settimana bianca in Trentino, i propri sci e i propri scarponi. Anche i bastoncini. Volevo raccontare a tutti dei miei sci nuovi ma non avrei potuto mostrarli in azione sulla neve perché mancavano gli attacchi, quindi non potendo dimostrare di averli acquistati, non potendo essere certo di essere creduto, tenni la notizia per me, soltanto per me, come fosse un segreto. Era difficile.

Per tutto il resto dell'inverno capitò che andavo a sciare e che qualcuno degli altri bambini arrivava con un paio di sci nuovi. Io avrei voluto dire che ne avevo un paio nuovo anche io a casa, in salotto - esatto, li tenevamo in salotto appoggiati contro il muro vicino alla credenza - ma non potevo. Quegli sci esistevano, ce li avevo ma non ce li avevo. In un certo non esistevano ancora. Per quello non potevo parlarne, perché non c'erano. All'inizio tenere tutto per me, non dire niente, fu difficile, frustrante. Fu una sofferenza. Avevo il desiderio di urlare al mondo: "Anche io ho un paio di sci nuovi, i Tour Randonne Professionaaaal" erano bellissimi, bianchi, lunghi 1 metro e 70 (io sarò stato alto uno e cinquanta, a malapena) e invece non potevo. Dovevo stare zitto.

Questa sofferenza mi consumò dentro per un po', ma mi piaceva anche, non sapevo perché ma mi provocava una sensazione che mi piaceva quindi continuai a non parlarne mai con nessuno. Diventò una specie di gioco il mio, guardare agli altri tenendo in mente che io avevo un paio di sci nuovi a casa e loro non lo sapevano. Guardavo come reagivano e come si comportavano gli altri, scoprii che le persone si rivolgono a te in modo diverso a secondo di quello che possiedi, gli sci o qualcos'altro. Se fai vedere che hai, che possiedi, se gli altri ti vedono o ti pensano in un modo, se qualcosa fai intuire o immaginare, loro sono diversi con te. Si comportano in modo diverso. Curioso.

Poi accadde che gli sci nuovi di chi avevo intorno, quelle degli amici con cui sciavo non erano più nuovi. A fine inverno erano già diventati vecchi. Usati. I miei invece erano ancora nuovi, perfetti, integri, ancora da montare e da usare. I miei amici manco sapevano che ce li avevo,a casa, degli sci nuovi. Alla frustrazione da un certo momento in avanti si sostituì piano piano la gioia, una gioia interiore potentissima, continua, pulsante, una energia che perlomeno all'inizio faticavo a comprendere. Più andavamo avanti e più ero felice di non avere detto niente a nessuno dei miei sci nuovi, di non avere consumato quel momento. I miei sci erano a casa e ogni tanto me li andavo a guardare, erano diventati un luogo sicuro della mia mente, un punto in cui ritornare con il pensiero a prendere forza ed un respiro. Un luogo da cui partire e a cui ritornare ogni volta per orientarmi, per sentirmi tranquillo, forte, anche io. Per sentire che c'ero.

Capii che quello che mi doveva rendere felice era il fatto di avere un paio di sci nuovi e soprattutto di poterli usare prima o poi, di sciarci, presto, l'inverno successivo. In neve fresca, come piaceva a me. Sono sempre stato fissato io, con la neve fresca. Capii che forse c'era qualcosa che dovevo rivedere in me e cioè che era anomalo che io considerassi così importante dire agli altri che avevo un paio di sci nuovi a casa. Tenevo molto da conto il loro giudizio e la loro considerazione, troppo.

Perché? 

Non era tanto il fatto di averli o di usarli, gli sci. Era il fatto di farlo sapere agli altri che in un certo senso mi gratificava, in effetti, me ne resi conto quasi per caso. Per via di quel segreto che per gioco avevo deciso di tenere. Non era la loro considerazione, che avrebbe dovuto rendermi felice. Non era lo stupore o la invidia o la gioia degli altri la cosa di cui mi dovevo riempire. Era della mia, di gioia, quella che avevo dentro. Dovevo essere felice per i miei sci e basta, per quello che ci avrei potuto fare, per le belle sciate che avrei fatto, indipendentemente dagli altri. Da un certo punto in avanti, da quella volta, tenere delle cose per me senza raccontarle a nessuno è diventato un metodo. Una abitudine. Un modo di fare e di pormi di fronte al mondo. Nella mia vita sono stato molto fortunato, ho vissuto una infinità di avventure, ho girato il mondo, ho fatto cose in montagna, nello sport, nella vita che in tanti conoscono e che in qualche modo sono state il carburante delle mie avventure successive. Sforzandomi di non svenderle, alcune delle mie cose le ho raccontate e vendute, le ho condivise, certe volte è stata una gioia, certe volte è stata una pena, una sofferenza assoluta. E' stato un compromesso il mio, come ne fanno tutti. Il mio punto di equilibrio, e quell'equilibrio sono io.

Ma la cosa magnifica che mi è capitata io credo, la migliore di tutte, è stata l'opportunità di tenere alcune cose soltanto per me. Cose che non ho mai avuto la necessità di raccontare ad altri. Quelle cose, la maggior parte di quelle quelle che ho tenuto per me, rappresentano in realtà quello che sono. A volte è curioso stare in mezzo agli altri che ti pensano in un modo, soltanto perché tu non hai raccontato tutto. Altre volte è penoso. Altre volte provi vergogna o ti viene da ridere a crepapelle. Il mondo non è come te lo raccontano o come lo si vede. Il mondo è come è. Solo che noi ci facciamo molto influenzare da quello che pensano gli altri.

Quasi sempre, troppo.      

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