martedì 21 ottobre 2014

LA CITTA' CAPITALE EUROPEA DELLA CUTURA.

A pensarci bene bastava leggere attentamente: Città-Europea-della-Cultura. I requisiti per diventare capitale nel 2019 erano almeno due e noi bergamaschi - Bergamo era una città candidata - ci eravamo concentrati soprattutto sulla seconda delle due parole, "cultura", dando per scontato che quella fosse la più importante, quella fondamentale e poi davamo per scontato anche di averne da vendere, di cultura. Non da regalare, ovvio. Da vendere. Diventare "capitale" - altra parola che a noi bergamaschi ci aveva fatto perdere l'orizzonte - era una questione di affari e di prestigio da riconquistare, per la città e anche per una amministrazione locale fiaccotta, a fine mandato, che si preparava ad affrontare una nuova tornata elettorale. 

Non siamo mai stati capitale di niente noi a Bergamo, anche se in cuor nostro ci sentiamo capitale del lavoro, della buona volontà, della voglia di fare fatica, del "mangia e fa sìto". Nella nostra candidatura abbiamo puntato su Città Alta, su Donizzetti e su Caravaggio, abbiamo puntato su quel fiore all'occhiello che è un Festival di successo dedicato alla scienza. Abbiamo puntato sull'Università e sul progetto del Chilometro Rosso, sulla Pinacoteca e poi l'aeroporto, quando vogliamo parlare di opportunità e di turismo noi bergamaschi ormai, tanto per cominciare, tiriamo in ballo l'aeroporto. Internazionale, che è una parola -internazionale - che a noi bergamaschi ci manda ancora un brivido. Ci inorgoglisce. Ci fa tirare su dritti con la schiena e pensare: eh, beh. 

La prima parola invece non l'avevamo considerata affatto: città. Città come civitas, la parola in origine significava sia il diritto del cittadino sia la cittadinanza, l’esistenza di una comunità, non rappresentava l'agglomerato urbano - per definire quello c'era un altra parola, urbe. Città come civitas. Città come comunità. Come cittadini. Gente. Ecco, noi per questo abbiamo perso, Bergamo ha perso l'opportunità di essere Capitale Europea della Cultura non perché non abbiamo cultura, non perché non ne fabbrichiamo o non siamo in grado di esprimerne, ma perché soprattutto ci siamo dimenticati di essere una comunità. 

Ci siamo dimenticati di cosa significa stare insieme, gioire o soffrire per uno stesso motivo e poi soprattutto, noi bergamaschi, ci vergognamo di mostrare in pubblico le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Siamo un po' chiusi e un po' bigotti, noi qui. Siamo fatti così. A 'n sé fàcc issè. Siamo solidi, consistenti, affidabili, lavoratori, solidali, generosi, ma siamo restii a mostrare pubblicamente la gioia o il dolore. Abbiamo paura di apparire ridicoli o scomposti o sguaiati, inadeguati, per non sbagliare mai stiamo nel nostro e al momento di tirare le somme finiamo quasi sempre per risultare freddi, un po' snob, probabilmente lo siamo anche diventati. Un po' snob. Certi di noi lo sono diventati, parlo di persone ma anche istituzioni, enti. Diciamolo. 

Questo è il video in cui si può vedere la civitas di Matera riunita in piazza, ci sono migliaia di persone davanti a un mega schermo e in diretta viene proclamata la Capitale Europea della Cultura 2019. Matera ha vinto. I cittadini sono tutti lì, riuniti in piazza. Esultano. Si abbracciano e urlano di gioia. Noi a Bergamo per una occasione del genere non ci saremmo mai riuniti in una piazza. Ammettiamolo. Non saremmo mai stati lì ad aspettare. Non saremmo mai esplosi in un boato. Non ci saremmo mai scambiati un abbraccio in segno di gioia con lo sconosciuto concittadino al nostro fianco. Noi non avremmo gioito, non così. Non così apertamente. Per questo, abbiamo perso. Perché siamo una città di gente in gamba e generosa ma facciamo fatica a sentici civitas. E poi badiamo molto all'etichetta, all'aplomb. A quello che gli altri dicono o pensano di noi. 

Io a quelli di Matera gli auguro tutto il bene possibile, e anche alla mia città, auguro tutto il bene possibile. Mi auguro un giorno, per un motivo qualsiasi che non sia solo l'Atalanta ( perfino Gori, il nuovo sindaco, non sapendo dove andare ha dovuto mettersi in maniche di camicia all'Atalanta che è uno degli ultimi posti in città dove ancora si urla e si gioisce o soffre tutti insieme ) di leggere negli occhi dei miei sconosciuti concittadini un entusiasmo così pulito, sincero, limpido, trasversale, come quello che vedo negli occhi di quel signore con gli occhiali in primo piano, sulla destra. Lo vedete? Con i capelli grigi e le lenti spesse. Io non gli invidio i servizi o le bellezze naturali o l'urbe o le montagne, a Matera. Io gli invidio la gioia degli abbracci e quell'urlo di gioia che si è sollevato l'altro giorno sopra le case e che ha messo insieme tutta la città. Vorrei che anche Bergamo, certe volte, sapesse essere così. 

Così come vedo in questi quaranta secondo di video, che secondo me, sono una cosa bellissima.

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